L’articolo che propongo riguarda il grave fenomeno della violenza sulle donne e su questo tema vuole sollecitare una coscienza critica, dal punto di vista del mondo delle professioni e, di riflesso, sulle mancanze di molteplici forme di intervento da parte delle Istituzioni. L’articolo è redatto dall’avvocato Marina Vajana del Foro di Palermo ed è tratto dal Notiziario dell’Ordine degli Psicologi della Sicilia (Dicembre 2018).
Ispirandomi al tema dell’articolo, scelgo di avviare la metaforica trama ponendo i seguenti interrogativi: su quali valori di umanità si impianta la nostra modernità? Che connessioni riconosciamo tra gli avanzamenti tecnologici (ad es., internet ed in generale il mondo virtuale) e le scoperte scientiste (ad es. le cellule staminali, le cure contro i tumori, i neuroni-specchio, ecc.) degli ultimi decenni ed i nostri modi di pensare, le nostre abitudini ed i nostri costumi personali e sociali in genere? E’ possibile tracciare una qualche forma di relazione tra le innovazioni del nostro tempo (come quelle sopra accennate) con il cosiddetto “disagio dell’uomo contemporaneo” che sta alla base di manifestazioni di violenza come quella verso le donne?
Mi piace, infine, introdurre l’articolo su cui chiedo a chi lo leggerà delle personali considerazioni, con la seguente affermazione “vinci non quando usi la violenza, vinci quando mantieni la tua dignità”.
Prendo spunto da questa nuova e interessante iniziativa Posto occupato, gesto concreto dedicato a tutte le donne vittime di violenza, per ricordare che ciascuna di loro, prima di essere uccisa da un marito, compagno, amante, amico o estraneo, aveva un posto nella vita, un posto nell’autobus, un posto al lavoro, al teatro… Ora starebbe magari scrivendo o leggendo questo articolo o anche partecipando a qualche iniziativa nella giornata del 25 Novembre, appena trascorsa, per riaccendere i riflettori su un fenomeno cosi attuale ma che ha radici in un lontano passato: il femminicidio. Di tempo, infatti, ne è davvero passato dal 25 Novembre 1960 ( giorno in cui a Santo Domingo vennero barbaramente uccise le tre sorelle Patria, Minerva e Teresa Mirabal, in memoria delle quali è stata scelta questa data come giornata mondiale contro la violenza sulle donne ), alle scarpe rosse… oggi sembolo, sopratutto in Italia, della lotta contro la violenza sulle donne. Ma le cose non sono affatto migliorate, anzi possiamo dire che l’ultimo anno è stato uno dei più cruenti nei confronti delle donne. Le statistiche, anche se è davvero brutto parlare di statistiche in questo campo, confermano un aumento del fenomeno dell’ultimo anno e non solo nel numero ma anche e sopratutto nella crudeltà ed efferatezza del crimine. A ucciderle sono stati, nella quasi totalità dei casi, mariti, compagni o ex, incapaci di accettare la fine della relazione la volontà della ex compagna di volersi ricostruire una vita al di fuori della coppia. Tali dati, essendo vicina la fine dell’ann e forse anche un po’ complice la mia attività professionale, mi ha portato a fare un bilancio non del tutto positivo di quello che è stato fatto in questi anni ed una triste considerazione conclusiva: NON ABBIAMO FATTO ABBASTANZA, nessuno di noi lo ha fatto.
Le leggi in vigore non si sono rivelate efficaci
Le leggi emanate per la repressione della violenza di genere non si sono rivelate abbastanza efficaci di arginare il fenomeno, sia per l’assenza di certezza della loro effettiva applicazione e le relative sanzioni ( sconti di pena, patteggiamento…), sia perché alcune sono rimaste prive di ulteriori misure che richiederebbero. Ad esempio “ La legge sullo stalking “, che ha certamente il merito di aver regolamentato un fenomeno che sino a meno di dieci anni fa era ignoto per il nostro sistema giudiziario, presenta ancora oggi alcune lacune che meritano di essere colmate. Manca, infatti, un piano ben definito per la riabilitazione degli stalker che spesso, spinti da una dipendenza affettiva, non hanno strumenti idonei a placarsi autonomamente. E’ indispensabile instituire veri e propri percorsi senza i quali il rischio di recidiva resta molto elevato. Sarebbe opportuna l’introduzione nel nostro ordinamento di pene accessorie adatte alla violenza di genere che scongiurino la reiterazione di crimini successivamente alla definitività della sentenza ovvero dopo l’esecuzione della condanna.
Forze dell’Ordine e Magistratura?
Non è stata abbastanza neppure l’attività prestata dalle forze dell’Ordine, non parlo certamente di tutti gli operatori ma sicuramente della maggior parte di loro, non abbastanza specializzata e preparata al fenomeno, quando dal punto di vista operativo non riescono a comprendere la vulnerabilità delle donne, nel momento in cui decidono di sottrarsi alla violenza e di denunciare, e approntano una azione protettiva non immediata o talvolta addirittura sospettosa nei confronti delle donne che denunciano. Fare giustizia, non significa solo stigmatizzare gli atti che si risolvono o possono risolversi in comportamenti di violenza contro le donne e punirli adeguatamente, ma anche accogliere la vittima senza pregiudizi che la colpevolizzino. Il senso della impunità dell’uomo violento, infatti, ove l’azione giudiziaria non sia abbastanza tempestiva, alimenta nella donna la percezione della propria inferiorità e la paura di un’incontrollabile escalation di violenza, che spesso può sfociare nel femminicidio. Non ha fatto abbastanza neppure la Magistratura, con una incompleta tutela della vittima ed eccessivi sconti di pena, nelle cui sedi giudiziarie non viene attuato pienamente il principio espresso nell’art.18 della convenzione di Instabul che richiederebbe un intervento integrato per la comprensione e la repressione della violenza di genere. Tutti siamo d’accordo nell’affermare che il fenomeno della violenza di genere ha natura strutturale e che si fonda nello squilibrio delle relazioni tra i sessi e colpisce le donne in quanto donne essendo espressione del desiderio di controllo dell’uomo.
“La violenza di genere non è solo questo!”
Uno dei nostri limiti, a mio avviso, è quello di pensare che il problema tra uomini e donne, mentre oggi, a mio parere, andrebbe inquadrato in un fenomeno di portata più ampia che investe anche e sopratutto gli eventi che attraversano o meglio sconvolgono la società, come la questione della precarietà della vita e del lavoro. La vita è diventata immensamente precaria e l’uomo, che per natura ha l’obbligo di essere forte e potente, ma non ce la fa più e ha molta difficoltà ad esserlo. E queste difficoltà non hanno a che fare solo e semplicemente, come si è portati a pensare generalmente, con il fatto che le donne si sono emancipate ed il ruolo degli uomini si è indebolito, e ce non reggono il confronto e per questo reagiscono cosi… Ma anche con la mancanza e/o la precarietà del lavoro quando lo hanno, la precarietà di tutti i legami, ivi compresi e sopratutto quelli effettivi, lo sradicamento in diversi modi, lo sradicamento dal contesto comunitario, familiare, locale. Riscrivere la grammatica della relazione tra i sessi è un processo che comporta una riforma sociale completa che passa attraverso la diffusione della cultura della parità. E su questo TUTTI NOI NON ABBIAMO FATTO ABBASTANZA!
Promuovere la cultura della parità di genere
Non siamo ancora riusciti a diffondere abbastanza la cultura della parità di genere. Forse quello che non abbiamo ancora fatto nostro e che dobbiamo fare prima imparare per poi poterlo insegnare ai nostri figli, ai nostri mariti, amanti, compagni di vita, colleghi di lavoro, superiori è che “L’uguaglianza ha lo stesso peso e… le differenze sono un arricchimento reciproco”. Dobbiamo ancora prima imparare e poi insegnare la conseguenza deleteria degli squilibri di potere e l’importanza della eliminazione degli stereotipi di ruolo maschile e femminile. Dobbiamo anche, mettendo a disposizione ciascuno la propria professionalità, favorire sul territorio l’istituzione e/o l’incremento di centri per uomini maltrattati che hanno lo scopo di insegnare ad arrestare il proceso psico -emotivo interiore che porta all’esposizione della violenza e centri per l’ascolto delle donna ed i minori, vittime di violenza. Utile ancora sarebbe una maggiore e più incisiva opera fin dall’infanzia da parte degli educatori, adeguatamente preparati, basata sull’apprendimento della cultura della parità di genere.
Questo è l’impegno che ho preso con me stessa quest’anno nel riporre nell’armadio le mie scarpe rosse, con l’auspicio di poterle presto indossare solamente nei giorni di festa e non per un giorno di commemorazione.
Marina Vajana
*Avvocato presso il Foro di Palermo
Tratto da: psicologi&psicologiainSicilia
Notiziario dell’Ordine Psicologi della Regione Siciliana n.1 Dicembre 2018